È il caso di riflettere sul caso?

La fascinazione e il timore che proviamo verso le cose insondabili, sono forse ciò che attiva il nostro interesse per il processo conoscitivo che seguirà. Il caso ha una componente esoterica e imperscrutabile che siamo spinti a cercare di interpretare.


Nei secoli, la mancanza di controllo che abbiamo avuto sulle eventualità casuali, le hanno addirittura rese parte integrante del concetto più comune di divinità.


I piani di dio appaiono chiari quando sono compresi nella nostra conoscenza, diversamente vengono comunque considerati validi ma imperscrutabili. Finché siamo intervenuti sulle cose naturali obbedendo a regole imposte da qualche moralità religiosa, il limite esisteva ed era imposto. Dopodiché, ogni precursore della scienza moderna poteva essere condannato per eresia. In tutti i modi, da quando i follower del profitto hanno superato quelli di qualsiasi divinità, i percorsi conoscitivi si sono completamente slegati da lacci e lacciuoli. In quest'ottica però, si è generata una conoscenza anarchica e svincolata da qualsiasi regola, se non la corsa all'arricchimento personale.


Per chiarire ulteriormente: i sistemi di valori imperfetti sono preferibili alla mancanza totale degli stessi, o a un "unico generatore simbolico di tutti i valori" (il profitto personale). Questo perché, al contrario di quanto molti pensino, l'assenza di norme non costituisce un impianto autoregolante, ma piuttosto una accelerazione certa verso la distruzione del sistema stesso. Grazie alle regole che ci diamo, prima di tutto conserviamo ciò che ci interessa. La nostra capacità di cambiarle (mantenendo come premessa il benessere sociale) e adattarci agli scenari nuovi che si producono, costituisce la miglior performance possibile di ogni società umana.


Il caso rimane lì, meraviglioso o terrificante, il suo potere incontenibile attraversa le epoche intatto... nonostante la nostra illusione di governarlo.


Anche la matematica, regina auto eletta del sapere, quando prova a discutere il caso, finisce per attorcigliarsi in un dedalo di opzioni infinite, e quanto più queste diventano complesse, tanto più appariranno poco risolutive. 


Qui sta il paradosso: il caso rappresenta spesso qualcosa la cui conoscenza è inarrivabile (esoterica appunto), finché il sapere non è in grado di spiegarla. Quando ci riesce però, il caso non è più tale. Ciò avviene perché capire le ragioni che portano a una possibilità inaspettata, significa conoscerne le cause e gli effetti. Così si ha il potere di contenere le probabilità che gli eventi si avverino cercando di evitarli. O al contrario, se ne possono produrre artificialmente, quando questi saranno giudicati positivi.


Per le persone comuni, l'imprevisto viene considerato come un male inevitabile. La mancanza di gestione del caso affonda necessariamente le sue radici in una forma di scaramanzia atavica. In questo senso, il caso torna ad essere una divinità pagana, ogni qualvolta cioè agisca su di noi in maniera incontrollabile.


Quanto alla vita di tutti i giorni, l'unica strategia per non uscire di senno, pare sia quella di non pensare a ciò che sfugge al nostro controllo. La maggior parte delle persone è rassegnata alla ripetizione degli stessi eventi. Un'esistenza del genere appare noiosa, ma è ritenuta più sicura che avventurarsi nel mondo delle cose incerte. Ogni cosa procederà sulle medesime strade, quelle battute in precedenza da chiunque altro, finché disgrazia o morte non interverranno a sconvolgere la nostra routine. Abbiamo quindi, noi stessi, prodotto le premesse perché qualsiasi elemento nuovo nella nostra vita, risulti casuale. Un altro paradosso dunque, o almeno in parte, perché di certo l'illusione di una vita preordinata non ci libererà dall'influsso degli eventi inaspettati. Tutt'al più potrà limitarli, creandoci il miraggio di evitarli.


Semplicemente si sta nel mare della vita come mitili, costruendo piccoli gusci e cercando posizioni protette, prendendo cioè quello che arriva dalla corrente sporca, digerendolo male e producendo altri rifiuti. Rimane da considerare che nel bilancio interspecie, se non altro i mitili producono meno sporco di quello che filtrano.


Nelle parti di mondo più povere, gli esseri umani sembrano maggiormente governati dalla brutalità del caso. Nei paesi più ricchi, invece, ci si convince che questo non avvenga. Ciò è vero in parte, quantomeno finché si ha maggior successo sulle cose della natura e si cerca di ottenerne sempre di più con la tecnica. 


Ma la prassi inevitabile che si presenta a noi con modalità randomiche, può essere considerata casuale?


La peggiore delle nostre inconvenienze è la morte, che spesso viene definita (ingenuamente) come un evento casuale. Inutile dire che non lo è, dal momento che ci raggiunge tutti e in maniera obbligatoria. Da notare però, che il modo con cui avviene la dipartita è considerato tanto più casuale, quanto più l'evento che ha causato il decesso sia funesto o colpisca una persona giovane.


La stazione orbitale di solito non va fuori rotta e il ponte non cade. Questo succede perché con la tecnica governiamo tutte le eventualità negative che possiamo.


La forza e la potenza dell'essere umano di oggi, si esprimono soprattutto attraverso il non agire, il contenere. Ciò implica innanzitutto una buona gestione delle accidentalità.


Quando il rischio è complesso ma gestibile, abbiamo delle possibilità di successo. Negli scacchi si vince dominando il caso, arginando cioè le possibilità avverse che potrebbero ostacolare il nostro prevalere. Se nel lasso di tempo che determina la partita, riusciremo a farlo, allora vinceremo. Se durante la nostra vita, i successi saranno sempre maggiori degli insuccessi, noi risulteremo dei campioni di tale disciplina.


A chi non ha ottenuto abbastanza controllo sui rischi della propria vita, non rimane che la delega. Ci si affida alla speranza che le disgrazie inaspettate vengano gestite da un ente supremo (il governo, dio, o il datore di lavoro). Nel loro patto scellerato, la religione e il potere hanno addestrato la gente comune a credere a questo: ogni ricompensa è rimandata (alla fine del mese o della vita). Qualunque gratifica sarà futura e proporzionale alle sofferenze patite. Per l'ingenuo, che queste siano casualità derivanti dal trattare male il proprio corpo, dall'ingerenza di dio, del governo o del datore di lavoro, fa poca differenza... è tutta colpa del caso. Si finisce per scomodarlo anche quando lo si è favorito negativamente. Ci racconteremo che in fin dei conti è colpa sua, mentre corriamo a comprare sigarette, medicine o biglietti della lotteria: cioè gli strumenti più poveri per governare il caso.


Dio è, prima che qualsiasi altra cosa, caso e capriccio. Egli può agire così perché ha tutta l'eternità, noi no. Ogni giorno mentiamo, tradiamo la fiducia degli altri, rubiamo e siamo scorretti. Tutto ciò per creare eventualità positive che sconfiggano quelle negative.


Intanto la tecnica, anche se marginalmente, lavora anche per la collettività. Prima quella parte più ricca poi, inevitabilmente e di solito a caro prezzo, anche quella più povera.


Sconfiggere dio con l'ausilio della tecnologia e trasmigrare in apparati tecnologici, significherà soprattutto abbattere l'eventualità di malattie e morte.


L'effetto terribile del tempo confligge inevitabilmente con le nostre speranze. Frantuma le illusioni di avere una vita infinita e non dolorosa.


Come qualsiasi altra cosa esistente, quelle organiche finiscono per marcire e disintegrarsi. Credere in qualche ruota mistico/ambientalista del riciclo cosmico non conforterà affatto il nostro ego. 


In assenza di alternative, esistere a qualsiasi costo appare certamente l'opzione più valida da perseguire. La registrazione, man mano che si perfeziona, è il tentativo di trasmigrare da una realtà caduca a una più longeva. Abbiamo cominciato registrando ciò che si sentiva, poi vedeva, oggi lo facciamo con le modalità di ragionamento (algoritmi). I sensi si stanno trasferendo dentro le macchine e quando saranno tutti lì, compreso il modo che ognuno di noi ha di ragionare, il corpo diventerà una cosa superflua. L'anima si che sarebbe un problema, ma come già detto, in mancanza di alternative valide, le persone vanno tutte per la stessa strada e che cos'è questo? Se non un tentativo di sconfiggere dio?


Il gioco che si fa con tutto il corpo o lo sport, sono realtà virtuali che esistevano già prima di quelle attuali. Le casualità negative controllate, rimanevano contenute entro la fine della partita e nei limiti delle regole. L'effetto innocuo che produce oggi la realtà simulata dentro gli schermi è ancora più contenuto (non ci si può infortunare videogiocando) e viene studiato per apparire sempre più vero (iperrealismo). L'ambiente virtuale ci seduce e convince, perché è immune dagli accidenti reali. 


Dentro ogni vita è contenuto il segreto della riproduzione, un sistema contenente le chiavi per la sopravvivenza che è incapsulato dentro uno che muore. Le realtà virtuali sono la stessa cosa. Un tentativo artificioso (e per ora fallimentare) dell'uomo per emanciparsi da ciò in cui esso è contenuto. Un apparato che lo vuole singolarmente morente per privilegiare l'esistenza del sistema stesso. Il tutto, tra l'altro, è basato sul concetto sorpassato della riproduzione indiscriminata. Dal momento che il contenitore (mondo) sarà colmo, qualcuno si renderà per forza conto che riprodursi all'infinito non è più una tecnica efficace per garantire la nostra esistenza.


Il primo vero brivido dei videogiochi è avere più vite dopo la morte, il godimento più adulto di ogni rappresentazione a schermo, è la conoscenza dettagliata di tutti gli aspetti finzionali. Non a caso, questi vengono largamente discussi, tanto dagli anziani davanti ai televisori, quanto dai nerd davanti ai computer. 


È per questo che ognuno di noi preferisce la virtualità delle cose finte, per l'ovvia ragione che il rischio calcolato all'interno di un dramma simulato, ci dona il brivido dei pericoli lasciandoci indenni. Nel film guardiamo la violenza o la morte altrui, al sicuro e dal calduccio del nostro salotto. Nel videogioco addirittura insceniamo noi stessi violenza e morte, senza il rischio di farci male sul serio.


Trasferire le parzialità di noi dentro una macchina, in attesa che diventi totalità, governerà definitivamente le possibilità più pericolose di tutte: malattia e morte. Nella corsa alla sconfitta di queste eventualità, qualsiasi approssimazione fornita ci sembrerà accettabile. 


Inoltre, quando le persone nuove della società, invece che morire e sopravvivere dentro un oggetto tecnologico, nasceranno già così, forse l'essere umano diventerà obsoleto.


Il prezzo dell'immortalità è la trasfigurazione. Il pegno da pagare per la semidivinità è la trasmigrazione digitale.


Oggi per dio e la natura noi siamo incubatrici organiche. Moriamo perché il seme che trasportiamo rimanga fresco e vivo. Appena abbiamo espletato il compito di duplicarci, cominciamo invariabilmente a deperire.


Assieme a ordinamenti di moralità vetusti come la religione, dio ormai è un concetto superato. Perché seguendo i suoi precetti, tutti i principi si riducono a uno: lo scopo ultimo della vita è generare altra vita in maniera caotica e indiscriminata.


L'individualità è solo una delle invenzioni umane e non la più gradita all'architetto supremo, è pericolosa e rischia di alterare gli equilibri del sistema. 


La vita al di fuori della duplicazione incontrollata non è mai stata contemplata, semmai regolata grossolanamente dal caso e dall'eventualità certa di morire.


Oggi la nostra presenza determina più che altro inquinamento, siamo diventati un cancro che divora il  pianeta (o almeno ci sta provando). In futuro, esistere in maniera sintetica potrebbe essere una scelta più longeva ed ecologica... e si sa, questa parola rende tutto più accettabile.


Nel nostro delirio antropocentrico, tutto il vuoto che abbiamo intorno (compreso l'universo) serviva soltanto a contenere noi, i prodotti e i rifiuti che generiamo in maniera infinita. Lo scopo della vita è sempre stato riempire ogni spazio fino al collasso, per poi ripartire da zero dopo una catastrofe casuale o indotta. 


Sapere non significa più comprendere i nostri limiti in senso greco, muovendoci all'interno di essi rispettandoli, ma piuttosto studiare i confini della realtà per abbatterli e trascenderla. Questo ha determinato storicamente il passaggio alla scienza moderna e al governo della tecnica.


La natura del sapere, se inscritta in grandi sistemi caotici, è fuggevole. Invece all'interno di ciò che è (anche solo parzialmente) più piccolo e controllabile, la conoscenza di solito fa il suo dovere.


Rimane da considerare che se i paesaggi in cui ci si addentra sono densi di casualità, un sistema di regole dinamiche si rende necessario per poterli esplorare in sicurezza. La scienza dovrebbe tenere in considerazione soprattutto questo, per evitare incidenti che, quanto più essa avanzerà, tanto più potrebbero risultare pericolosi.

Una notte a new york

 











Mettiamola così: se fossi un astronomo e scoprissi un pianeta interamente fatto di merda, lo chiamerei come questo film.

 


Relazioni, correlazioni e biciclette


Premessa

Nel testo che segue, per "positivo", si intenderà sempre: ciò che promuove l'esistenza delle parti di un sistema e di conseguenza (da dimostrare) del sistema stesso. Per "disfunzionale" invece, si intenderà sempre il contrario.


Nei manufatti della tecnica, come anche nei sistemi sociali, quello che promuove l'esistenza degli elementi relazionati, è la corretta e coordinata funzionalità degli stessi. Quando questi cioè, sono favoriti nello svolgere al meglio ciò per cui sono stati creati. Per fare un esempio: se tutti i componenti sono efficenti, abbiamo una bicicletta, altrimenti qualcosa di inutile. Questo di solito avviene perché le parti che compongono quel manufatto non sono correttamente correlate. La conseguenza è l'inefficienza dell'oggetto stesso. Nella sua connotazione esistenziale minima, esso è considerato inerte. Rimarrà cioè riconoscibile, ma solo finché la sua immagine suggerirà una lontana correlazione tra le sue parti, dopodiché diverrà definitivamente spazzatura. 


Oltre al gruppo di elementi che lo costituisce, ogni sistema è relazionabile ad altri simili. Si può parlare di insiemi per quanto riguarda i manufatti e di gruppi sociali per quanto riguarda gli esseri umani. Nell'analisi che segue, metterò incautamente a confronto queste due istanze. Tenendo conto che gli oggetti si accomunano tra loro più che altro per somiglianza estetica e funzionalità. Invece, per quanto riguarda le persone, le sfumature relazionali sono naturalmente più dinamiche.


I prodotti moderni della tecnica (computer e intelligenze artificiali) sono concepiti anche per relazionarsi tra loro. La qualità dei rapporti che realizzano, conferisce loro unicità e li rende maggiormente riconoscibili. In altre parole, determina di fatto la funzionalità caratteristica che li contraddistingue. Nel caso di questi oggetti, possiamo spingerci a sostenere che più uno di questi ha buone capacità relazionali, più si può considerare potenzialmente positivo. Potremmo azzardare che per gli individui di un gruppo sociale è lo stesso.


Come abbiamo appurato, se è inerte, l'oggetto barra persona non funziona e questo si esplicita soprattutto attraverso due modalità: la mancata correlazione tra le parti che lo compongono, o la fallita relazionalità con gli oggetti barra persone simili. Il suddetto quindi esiste nell'insieme barra gruppo, ma contemporaneamente può stare al di fuori di esso. Definiremo come entanglement esistenziale quello di disoccupati, individui con disabilità non assistiti, tossico dipendenti, senza tetto, o carcerati (e solo per fare alcuni esempi). Costoro ci sono, ma contemporaneamente non esistono in maniera positiva.


Nella bicicletta, abbiamo elementi mal rapportati all'interno di un sistema meccanico. Nelle eventualità umane citate invece, troviamo soprattutto esistenze mal relazionate con l'esterno.


Come abbiamo evidenziato, la qualità relazionale è un aspetto importante dei manufatti tecnici moderni, i quali però conservano delle funzionalità positive, anche quando risultino "disconnessi". Diversamente, l'aspetto più tecnologicamente relazionale delle comunità umane contemporanee (i social), pare essere diventato imprescindibile e quasi obbligatorio. Fino al punto che, se un individuo non ha sviluppato tali abilità e si tenga costantemente aggiornato su esse, potrebbe finire per diventare disfunzionale.


L'oggetto barra persona, di solito contiene le potenzialità per coordinarsi opportunamente. Queste possono essere coadiuvate, impedite parzialmente dai limiti fisici dello stesso, o inficiate dal sistema in cui esso è contenuto. Nei gruppi sociali, quando quest'ultima occorrenza avviene, potrebbe anche trattarsi di un individuo positivo, ma che per qualche ragione sia eccessivamente perturbante degli equilibri della comunità (ad es. personalità rivoluzionarie le cui idee raramente vengono accettate in vita). Quindi succede spesso che gli altri si comportino come globuli bianchi. Nel migliore dei casi perseguiteranno ciò che è considerato estraneo, nel peggiore lo elimineranno.


"Esiste una sconfitta pari al venire corroso che non ho scelto io ma è dell'epoca in cui vivo"


Nel quadro più generale, un deterioramento di tutto è comunque inevitabile, ed è causato dal passare del tempo. Sorprendentemente però, sia il manufatto che la persona, quando conservino la loro qualità relazionale a lungo, appariranno giovani anche dopo molti anni. Al contrario, una relazione disfunzionale invecchia l'oggetto barra persona prima del tempo, anche quando questi abbiano subíto un'usura trascurabile. Può volerci del tempo, ma questo tipo di rapporti finisce spesso per produrre una perturbazione dannosa. Per le parti e, come conseguenza non sempre riconosciuta, per il sistema più grande in cui esse sono contenute.


Il ciclista che utilizza una bicicletta male assemblata, seppur parzialmente funzionante, produce il deterioramento precoce di sé e della stessa. Da notare inoltre, che se i ricambi fallati in circolazione fossero piu numerosi delle biciclette, le probabilità che si realizzino assemblamenti promiscui crescerebbero. Esistono, cioè, molte possibilità che le biciclette funzionanti vengano riparate male. Il numero di parti che compongono un sistema sarà sempre maggiore del numero di sistemi. È questa la ragione principale per cui, nei gruppi sociali, è più logico agire sulle relazioni. È una semplice questione di numeri: tenere sotto controllo le disfunzionalità delle singole parti risulterebbe impraticabile.


Sembra quindi che non esista relazione inefficiente che produca positività per i sistemi. Per quanto riguarda le comunità umane, con l'accumulo di denaro e l'accesso ai beni di lusso, alcuni individui possono convincersi di condurre un'esistenza positiva. Tra le altre, la prima causa di disfunzionalità nei rapporti tra le persone, è l'idea che un accumulo eccessivo di denaro produca vantaggio, anche quando questo avvenga attraverso associazione.


Cenni storici sul concetto di disfunzionalità nei sistemi sociali

Per quanto riguarda le classi meno abbienti, il miraggio del raggiungimento di una posizione più elevata, viene instillato con la stessa modalità (accumulo). Questo privilegia l'individuo e come conseguenza, produce disfunzionalità. La strada giusta sarebbe stata quella di lottare per ottenere maggiori diritti, perchè questi concorrono a regolare positivamente le relazioni. Quando si è cominciato a protestare per gli aumenti di salari e si è smesso di farlo per il conseguimento di nuovi diritti, o il mantenimento di quelli vecchi, ogni idea residua di rivoluzione è morta. 

La povertà, in questo senso, è un dispositivo d'ingegneria sociale, fondamentale per realizzare un  regime capitalistico: aumentando costantemente il prezzo dei prodotti, si crea l'illusione che il problema sia la mancanza di denaro. Seguendo questa logica, la gente comune finirà per concentrarsi sull'accumulo di denaro, mentre i suoi diritti verranno costantemente erosi. A questo punto, l'intero apparato sociale diventerà irreparabilmente disfunzionale.


Da ultimo, rimane da considerare che nel pieno ipercapitalismo realizzato, la gente non può più tornare a cacciare, coltivare o pescare, perché non ha più la manualità per farlo. In forza di questo, ogni ritorno a un economia familiare sussistente è inconcepibile (senza contare poi l'inquinamento che si è prodotto). Se l'obiezione fosse che questo è il progresso, si noti ciò: quando un sistema è governato da un dispositivo sociale che obbliga a esistere secondo un unico stile di vita, non può certo definirsi progredito.  


Va da sé che più vasto è l'insieme mal correlato, più grande è lo svantaggio prodotto nel macrosistema che lo contiene. Com'è pure vero che maggiore è la disfunzionalità dell'elemento singolo e più esteso è il danno che si potrebbe generare. Quest'ultimo evento è però più raro, giacchè i sistemi sociali applicano delle contromisure preventive, proprio per evitare che danni del genere diventino troppo estesi (ad es. il carcere per un serial killer). Naturalmente il riconoscimento della disfunzionalità di un elemento, è la prima condizione necessaria perché questo venga isolato. Se così non è (ad es. dittatori o personalità politiche molto corrotte) il danno risultante potrebbe davvero estendersi, fino ad avere conseguenze rilevanti sul piano storico. Possiamo quindi concludere che la rarità dell'evento suddetto, non è sempre condizione sufficiente perché questo venga considerato trascurabile.


Un manufatto, anche quando grande e complesso, è spesso modificabile in meglio intervenendo sulle sue parti. Relativamente all'essere umano invece, più è esteso un gruppo sociale, più risulta inutile intervenire sulle singolarità che lo compongono. Sarebbe proficuo bensì, operare cambiamenti su leggi e consuetudini che governano le disfunzionalità relazionali più comunemente accettate. Inoltre, considerare come obbiettivo più vantaggioso il buon funzionamento del gruppo e non l'accumulo di benessere da parte del singolo o di piccoli gruppi di potere. Per quanto ciò possa sembrare puerile (e senza demonizzare la realizzazione personale), possiamo convenire che questa sia la differenza tra la società umana positiva e quella disfunzionale. Con l'unica eccezione che questo principio è valido, ma solo entro crescite demografiche accettabili, più avanti vedremo perché.


Abbiamo appurato che sono quindi due le maggiori difformità nei sistemi sociali: l'illusione di benessere generale basata sul miraggio di ricchezza e l'accumulo di risorse sproporzionato da parte di piccoli gruppi. Nel secondo caso, l'anomalia si comporta come un tumore e lavora inconsapevolmente, o meno, per minare la positività del sistema che la contiene.


Se presumiamo che le sensazioni siano componenti fondanti di un apparato correlato (quello psichico). Si potrebbe sostenere che quando questo non funzioni a dovere, dovremo considerare sbagliata la relazionalità tra l'interno e l'esterno (ad es. ho la sensazione che fare qualcosa sia sbagliato, ma lo faccio comunque). Purtroppo quest'eventualità non è facilmente eludibile, soprattutto essendo direttamente coinvolti. Ciò avviene perché le regole imposte dal macrosistema, agiscono sul singolo individuo con un'ingerenza gerarchica superiore. Da questa è molto difficile emanciparsi. Più semplicemente, quando un certo numero di persone si comporta in maniera disfunzionale, chi è in minoranza tende a imitare tali comportamenti: per timore di perdere qualcosa, o semplice insicurezza.


Facciamo tutti parte di gruppi sociali (famiglia, ufficio, paese etc.) che sono spesso disfunzionali. Per sopravvivere all'interno di essi, dobbiamo necessariamente scardinare la correlazione morale tra le nostre sensazioni (giusto e sbagliato) e l'agire. In questo modo ci illudiamo di vivere un'esistenza più o meno quieta. Molti stravolgono i propri valori, in forza di un vantaggio personale presunto. Possiamo definirlo tale, perché agendo così, gli stessi finiscono spesso per compromettere la qualità positiva delle loro relazioni. Quando questi comportamenti diventino comunemente accettati, la disfunzionalità si sposterà più velocemente dal micro al macrosistema.



In termini più generali e socialmente parlando, il miglior macrosistema è quello che non ingloba quelli più piccoli, che permette cioè la realizzazione di microsistemi dove nessun elemento è trascurabile. Se ciò avviene, le qualità relazionali sono più facilmente regolabili. Nel momento in cui, un agglomerato umano qualsiasi diventi così grande e complesso, da contenere anche individui socialmente marginalizzati, è certamente possibile che alcuni di questi, non avendo uno scopo positivo, comincino a comportarsi in maniera disfunzionale. Possiamo concludere quindi, che le correlazioni siano tutte potenzialmente positive, almeno finché i numeri dei sistemi sociali rimangano contenuti.


Un unico grande sistema sociale, dove tutti gli individui si assomigliano, è lo scenario più temibile. Attraverso le diversità culturali noi regoliamo le norme e le consuetudini della convivenza. Ma queste differenze devono necessariamente continuare a esistere, perché se smettessero di farlo, il controllo sulle disfunzionalità relazionali verrebbe meno e non avrebbe più termini di paragone. Come risultato potremmo finire per illuderci di vivere nel miglior sistema possibile. 

E adesso chiama il prete


Lo schifo umano è ovunque

e il lavoro sfiancante di non vederlo

conduce a una morte interiore prematura.

piangono i figli dell'ottimismo

sui letti di morte in ospedale,

non  per la loro fine

quanto per non aver visto ciò che li circondava...


E adesso chiama il prete, merda!


Akira Toriyama (鳥山 明, Toriyama Akira; Nagoya, 5 aprile 1955 – Tokyo, 1º marzo 2024


Just a girl who can't say no
And her sweetheart on parole
Parents named her jupiter
To bless her with a lucky soul
He's a boy who never cried
When they locked him up inside
And she nicknamed him her teardrop
For the tattoo by his eye
Now she's sleeping in her bed
And he's sleeping in her bed
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and teardrop
She divines by radio
Pushing buttons show to show
And she wonders 'bout the fate of
Lovers in the barrio
She forgets after a while
When she tunes in on the dial
Jackie wilson's lonely teardrops
And she drives another mile
Now she's sleeping in her bed
And he's sleeping in her bed
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and teardrop
And they want to have a child
Walk together down the aisle
But the world they live in is mean
And it's built on sheer denial
The phone rings it's for her
Got to see ya jupiter
I'm in trouble with the law
Bring my 38 caliber
Now she's sleeping in her bed
As she pulls the phone plug dead
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and teardrop oh
And it's jupiter and teardrop
And it's jupiter and tear oh
And it's jupiter and tear
Oh oh
Oh oh oh

Elena Esposito

Algoritmi. Previsione e opacità

Festivalfilosofia 2020 | macchine

Venerdì 18 settembre 2020

Sassuolo



Uno dei fini principali del sapere pratico è anticipare i problemi, avere cioè un vantaggio in termini di tempo per poterli risolvere, quando non addirittura evitare che accadano.

I sacerdoti sumeri registravano le soluzioni da adottare in situazioni particolari (allagamenti, carestie etc.) scrivendole con dei cunei su tavolette d'argilla, queste venivano poi sigillate dentro delle nicchie. Gli stessi sacerdoti apponevano sopra i sigilli esterni, delle diciture corrispondenti ai problemi specifici. Le tavolette venivano poi dissotterrate, quando la situazione problematica corrispondente si fosse ripresentata.

Questi proto hard disk sopravvivevano alla popolazione, custodendo una mole di dati sempre consultabili e continuamente aggiornabili.

Dopo diverse migliaia di anni, un nuovo tipo di conoscenza ci viene descritto nel brillante intervento della professoressa Esposito. Una sapienza regolata da intelligenze artificiali che non sono più vincolate solo al supporto fisico nel quale sono contenute. Possono cioè vivere in rete e agire su diversi supporti in ogni momento.

Il sapere che produceva nuova conoscenza, partendo dai grandi contenitori del passato (gli archivi, le biblioteche etc.) era funzionale all'intelligenza e alla fruizione umane.

I nuovi magazzini del sapere, nella modernità, cominciano ad essere progettati per essere interpretati prima di tutto dalle intelligenze artificiali. Possono essere conservati in luoghi segreti e irraggiungibili e scritti in codici sconosciuti all'uomo comune. Molto lentamente le macchine stanno cominciando cioè a produrre dei linguaggi propri. L'uomo che li interpreta diventa un tecnico sempre più specializzato. Fino ad arrivare al punto in cui la macchina utilizza processi interni e linguaggi che nemmeno i tecnici capiscono più.

In alcuni ambiti come la diagnosi medica, considerando i grandi numeri e la velocità di calcolo dei processori più moderni, l'intelligenza artificiale potrebbe fornire previsioni sempre più affidabili, che finiranno forse per sostituire la diagnostica umana.

Ma come fa giustamente notare anche la professoressa, i risultati esatti forniti attraverso processi a noi incomprensibili, possono risultare strani, addirittura esoterici.

Le intelligenze artificiali con le loro voci amichevoli, sono per caso il nostro banco di prova? Se loro possono diventare più uguali a noi, vorrà dire che anche noi possiamo diventare un po' più come loro?

Il transumanesimo è forse la nostra ricerca (consapevole o meno) di supporti diversi e più longevi su cui trasferirci? In cui registrare le nostre individualità? Un modo cioè per sconfiggere la morte?

Il genere umano si garantisce sopravvivenza attraverso il seme. L'individuo muore perché il seme possa continuare ad esistere. Il limite individuale sta nel fatto che noi, per la natura, non siamo altro che incubatrici organiche deteriorabili. 

L'umanizzazione forzata delle intelligenze artificiali, potrebbe apparire come un tentativo, per ora goffo, di preparare un contenitore adeguato dove trasmigrare in futuro.

Immaginiamo che grazie a una nuova tecnologia fosse possibile immagazzinare tutti i dati della vita di una persona sin dalla sua nascita. In seguito, noi potremmo riproporre ai discendenti della stessa persona, un avatar con il suo modo di ragionare e di parlare. In fine che tutto questo potesse essere trasferito in rete e poi dentro un oggetto qualsiasi di uso quotidiano.

Google map ti dice la strada, se vuoi però, puoi anche farti una chiacchierata col trisnonno Roberto. Attenzione non parliamo di un database delle sue frasi registrate, ma di una I.A. dedicata che produce pensieri nuovi, risponde e pensa come ragionava il trisnonno. Questo tipo di tecnologia è ormai quasi a portata di mano, con tutte le implicazioni che potrebbe comportare.

Quella che ancora oggi noi ci ostiniamo a chiamare macchina, si sta progressivamente animando e seppur esista in maniera inorganica, esiste, perché opera nella realtà e sta cominciando a definirsi come un nuovo tipo di ente. È questa la vera novità, perché in passato qualsiasi apparato tecnologico era esterno e nettamente separato dall'essere umano. Nella modernità i confini non sembrano essere più così netti.

Nel gioco delle imitazioni sembra quasi inevitabile che le intelligenze artificiali cerchino di presentarsi come umane, almeno nelle loro interfacce. Mentre le macchine si allenano ad emularci, noi giochiamo tornei di scacchi rapidi, i due tipi d'intelligenza si stanno cioè avvicinando. In questo senso, rimane da stabilire in quanta misura noi stiamo modificando i criteri umani, perché questi assomiglino sempre di più a quelli artificiali. Il che non è cosa da poco, perché questo potrebbe cambiare i parametri che noi utilizziamo per valutare l'intelligenza in generale.

Il calcolo è funzione preminente nella società del profitto e dei consumi, quindi oggi le macchine risultano spesso più performanti di noi. Le intelligenze artificiali interpretano meglio una realtà che assomiglia sempre di più a loro e sempre di meno agli esseri umani. Il paradosso sta nel fatto che questa realtà l'abbiamo creata noi e man mano che essa diventerà meno ospitale per la vita, lo sarà sempre di più per il golem tecnologico che stiamo allevando.

Le macchine hanno ancora bisogno di pastori, ma progressivamente sempre di meno. Quindi prima o poi, per fare un esempio qualsiasi, tutte le casse dei supermercati diventeranno completamente automatiche.

Per inciso, non è un problema che lavori particolarmente pericolosi, degradanti o stressanti vadano scomparendo. Lo è piuttosto il fatto che per ora, l'unica proposta avanzata al di fuori di una vita completamente asservita al lavoro, sia un reddito da consumatore universale. Quando non dovremmo più preoccuparci di pascolare le macchine, dovremmo comunque continuare a preoccuparci di consumare tutto l'eccesso che produrranno.

Il sapere umano basato su filosofia, pensiero critico e creatività, rappresenta un ramo morente dell'intelligenza, è anche per questo che le macchine risultano più efficaci. La realtà umana si deteriora riducendosi al puro calcolo, alla sola performance di successo commerciale. È in questo clima che l'intelligenza delle macchine diventerà sempre più performante.

In fine mi permetto qualche critica di carattere generale. Forse non è l'intelligenza artificiale che scrive articoli meravigliosi per il New Yorker, sono i lettori di oggi, che essendo meno preparati, non colgono più la differenza tra un buon articolo ed uno semplicemente ricco di vocabolario e sintassi, ma comunque privo di concetti nuovi e reale pensiero critico.

Aggiungerei che magari un gran numero di professionalità vecchie e nuove, approfittano di queste scorciatoie tecnologiche per cercare di arrivare al successo, o mantenere il posto di lavoro, facendo il minimo indispensabile.

Il test di Turing mi è sempre sembrato un escamotage, un po' come quelli dei maghi, se non ti accorgi del trucco allora è magia. Se non realizzi che l'intelligenza è artificiale, allora è umana.

Molto lentamente le macchine si stanno umanizzando, elaborando processi imitativi talmente complessi da renderle ormai capaci di mimetizzarsi tra gli esseri umani. Nel frattempo, tentando di assomigliare a loro, noi ci disumanizziamo, producendo effetti sulla socialità dannosi e difficilmente arginabili.

Mi spiego meglio, forse non è la compilazione automatica di Google ad essere geniale, ma il giornalista di cui ha parlato la professoressa che dovrebbe rivedere la qualità del tempo passato col figlio. In fondo, se ci pensiamo bene, risulta veramente incredibile che un padre debba ringraziare una macchina che gli ha suggerito di dire a suo figlio una frase carina. Perché per un genitore che dicesse spesso a suo figlio di esser fiero di lui, quel suggerimento risulterebbe inutile, in quanto insincero e non spontaneo.











Il paese più giovane del mondo


Bieco malato sudiciume 

la vita divora i pianeti

e si duplica

brulica

come un mostro cieco

che senza scienza o matematica

esplode di marciume 

nel paese più giovane del mondo.


Clacson

motorini

piedi nudi e immondizia

cibo andato a male

sbranato 

costantemente masticato.

A qualsiasi ora

la vita esige se stessa

e morire qui

tra le miriadi

non è che una pausa personale.


La vita che viaggia

infettando l'universo intero

per voi

è un'incessante primavera,

per me è solo inferno

dove prima non ce n'era.

Amor Borghese


Ci si tuffa insieme

dalle scogliere sconnesse del sentire

inseguendoci dall'alto 

con la gioia in cuor del salto.

Tutti convinti

dalle vie più brevi

di nuotar verso l'amore.


Si finisce spiaggiati

invece

come bestie marine

lungo le rive dei mari dell'incompresione

divani

silenzi

e televisione.









Meba


Un vecchio cambogiano

con occhi velati e fare gentile

m'invitò a sedersi alla sua tavola

ricambiai il sorriso e declinando

attraversai il cortile


Alzai lo sguardo verso il cielo

sopra di me

una luna rossa

vibrazioni e stasi

tra i pulviscoli del cosmo

che mi stavano chiamando.


Mi girai 

e il vecchio

con un gesto lieve della mano

m'invitò di nuovo

verso la tavola imbandita,

sorrisi ancora

e zoppicai

verso i meandri della casa.

Il destino delle rane


Uno dietro l'altro

i miei passi

tra le piccole rane nere,

che dall'erba bagnata del mattino

vanno verso l'acqua.

Uno dietro l'altro

i miei morsi

da un prato

una macchina

o una panchina sul dirupo.

Uno dietro l'altro

i miei passi

tra le piccole rane nere

che dall'erba bagnata del mattino

vanno verso l'acqua.

Nei miei piedi il destino

il mio e delle rane.



 That's what Life Is. Take the time to hit the right note.

Ray Charles


Fold down your hands
Give me a sign
Put down your lies
Lay down next to me
Don't listen when I scream
Bury your doubts and fall asleep
Find out
I was just a bad dream
Let the bed sheet
Soak up my tears
And watch the only way out disappear
Don't tell me why
Kiss me goodbye
For Neither ever, nor never
Goodbye
Neither ever, nor never
Goodbye
Neither ever, nor never
Goodbye
Goodbye



Il disagio


Una vita intera

senza un sguardo solo

che capisca cosa provi

è come il grido silenzioso

e perenne

di un fiore che brucia nell'azoto liquido.

 The french dispatch













Alla fine i film migliori sono come dei dipinti. The french dispatch è un'ora e quarantotto minuti di gioia, ironia e stupore infantile per adulti.

L'amore da un buco tra le sbarre


L'ultima fuga è verso il prato più bello

Lila coperta di neve

o sotto la pioggia

felice

senz'acqua ne cibo,

senza i suoi angeli

fatti di spazzole e carezze.

Lila è andata via

prima di un inverno troppo freddo

cieca

malferma

che non trova più le sue strade odorose.

Lila è un ricordo di tempeste

scatenate da fulmini molli e tracotanza

Lila sdraiata nel mezzo

tra monti di finti conti

e contese di fine mese.

Lila di pochi pensieri

pappa e prati più grandi

che escogita la prossima fuga.


Lila ti offre il muso

come un fiore selvatico

che è amore

da un buco tra le sbarre.


Lila è dolcezza nascosta

che piange

come le mele in garage

perché nessuno andrà più a rubarle.

Il dominio della copia

Processi imitativi perfetti, copie perfette, mimesi perfette. Dal momento in cui, con l'ausilio della tecnica siamo in grado di produrre copie indistinguibili dal reale, ogni processo di riconoscimento dell'altro, inteso come altro organico o no, diviene più complicato e in qualche caso, quasi impossibile.

Le immagini di visi elettronici e fotoritoccati prendono il nostro posto, le preferiamo a noi. Nello stesso modo, chissà che gli attori cinematografici non stiano per cedere il posto a degli avatar elettronici più longevi, più economici e meno capricciosi. Una copia del tutto sta per sostituire l'esistente, con il bene placido degli spettatori umani divertiti e lusingati dalla loro idea di progresso.

Voglio essere immortale e per sempre bellissimo, ma la copia pittorica o la foto non mi bastano più, esse sono immobili, statiche, morte. Pretendo di essere imitato da qualcosa che sembri vivo, che confonda gli altri. Tra un paio di generazioni forse, gli obesi di tutto il mondo collegheranno i loro genitali in rete, mentre i loro avatar in forma di automi sintetici, faranno sesso in una stanza dall'altra parte del mondo. Il principio è molto semplice, se qualcosa di sintetico comincia ad agire nel mondo in un dato momento, niente di organico potrà occupare lo stesso spazio nello stesso momento.

Come copie assistite dalla chirurgia estetica e dalle nuove ideologie tribali, la donna che diventa uomo, o l'uomo che diventa donna, pur non essendo biologicamente tali raggiungono il loro scopo quando sono indistinguibili.

La parte povera del pianeta non fa più rivoluzioni, ma tenta di assurgere al ruolo di borghesia emigrando e cercando di imitare gli atteggiamenti e l'estetica delle altre culture. Siamo tutti la copia di un consumatore occidentale e vagamente americanizzato. L'immigrato moderno che è tanto caro alla narrazione mainstream, viene rappresentato sempre come un povero senza cibo o un rifugiato di guerra su un gommone. Se consideriamo invece i numeri e i paesi di provenienza dei maggiori flussi migratori sul pianeta, dobbiamo constatare  che questi sono costituiti in realtà da migranti economici che partono in piena salute e disponibilità di mezzi da paesi non in guerra. Aspiranti consumatori che anelano ad esistere in mercati più grandi e competitivi. Copie ansiose di imitare la cultura che li ospiterá nel tentativo di acquisire diritti e ricchezze simili. Sembrano immuni da questa mimesi borghese l'islamismo e le dittature più radicali, ma l'appiattimento culturale indifferenziato del consumatore moderno, prima o dopo arriverà ovunque.

La Food And Drug amministration americana stabilisce il pericolosissimo principio secondo il quale, se un prodotto di bio-ingegneria assomiglia ad uno naturale per più di una percentuale data, in termini di legge quel prodotto è da considerarsi naturale. In accordo con la tesi iniziale quindi, il processo di produzione/copiatura dell'esistente, prende il posto di ciò che c'era originariamente, venendo considerato migliore perché più performante dagli standard moderni.

Il test Di Turing stabilisce che una macchina possa essere intelligente sulla base del fatto che il suo interlocutore umano non vedendola, ma interagendo con lei da uno spazio separato, non si accorga che essa è una macchina. Di nuovo intervengono la copia e l'inganno della mimesi perfetta, che sono alla base di questo processo. Oggi riteniamo che un'intelligenza artificiale sia performante, quanto più questa agisca nel mondo, senza che la comunità umana se ne accorga.

I sacerdoti della tecnica sorridono con un'espressione di paternalismo compiaciuto sul volto.

Perche stiamo andando in questa direzione e cosa ci aspettiamo di ottenere?

L'intelligenza artificiale spesso appare performante solo per la complessità di realizzazione che attende chi si appresta a progettarla e il livello di complessità nel quale agirá. Ma una volta costruiti, i figli handicappati della tecnologia non riescono ancora a sopravvivere nel mondo reale. Perlopiù fino ad oggi, questi golem hanno prodotto cambiamenti sociali a scopo di lucro o potere politico. Chi ha inventato lo scalpello aveva idee molto meno grandiose e questo strumento, nella sua semplicità resiste invariato nel tempo ed ha prodotto meraviglie artistiche. Al contrario le intelligenze elettroniche e i sistemi operativi promettono spesso miracoli che non riescono a realizzare per poi finire soffocati, mentre sono ancora giovani, dai loro figli. I nuovi sistemi operativi si mostrano spesso con vestiti più sgargianti e funzionalità invariate, se non addirittura peggiorate.

Consumare significa ridurre a zero, in pratica il contrario di creare. Le macchine non potranno mai essere veramente creative, ne vere consumatrici, non come lo siamo noi. Gli esseri umani hanno due priorità, duplicarsi e distruggere, sono cioè distruttori e divoratori di tutto ciò che esiste, inoltre ciò che vive tende a riempire gli spazi rimasti (sempre più angusti) con copie di se stesso e spazzatura. Il cyber capitalismo ha ancora bisogno di bestie umane, perche queste consumano l'esistente. Le macchine anche quando distruggono ciò che esiste, hanno ancora bisogno di piloti umani. Un mondo dove le macchine consumassero o si duplicassero in maniera autonoma sarebbe uno scenario da incubo.

Le intelligenze artificiali oggi scrivono libri e articoli di giornale, senza che nessuno se ne accorga. Tutto questo avviene perché il livello d'intelligenza umana e di conseguente capacita critica, si stanno abbassando notevolmente. In mezzo a tanti libri e articoli di giornale poco interessanti, è facilissimo mimetizzarsi. Se accettiamo la premessa che una macchina non è un essere vivente e non sarà mai intelligente nella stessa maniera, dobbiamo dedurre, dato l'aumento di performance innegabile delle intelligenze artificiali, che sia da prendere in considerazione il fatto che noi stiamo modificando il concetto d'intelligenza e la realtà, per renderli più agevoli alle macchine. Il fatto che l'uomo comune non distingua tra un libro scritto da un essere umano o una I.A., non garantisce la qualità di quel libro. In realtà questa mimesi sta producendo solo un appiattimento generale dell'originalità, in tutti i settori. Questo perché la scintilla creativa e l'intuizione che sono prerogative tipicamente umane, hanno a che fare con il momento presente e una visione creativa del futuro. Un'intelligenza artificiale che imiti tutto questo, un secondo dopo essere stata creata, produrrá copie di processi creativi che prenderanno spunto solo dal passato e non riusciranno mai a immaginare il futuro in maniera creativa.

L'errore nel gioco della creazione del nuovo, rende le cose più umane, a volte tristi, comiche o imprevedibili. Oggi le macchine sono migliori di noi in molti giochi da tavolo, ma le partite che giocano sono noiose e fredde macchinazioni, frutto del puro calcolo.

Negli scacchi ad esempio, la presenza ossessiva delle intelligenze artificiali e della registrazione di tutte le partite passate ha portato la creatività e il genio che sembravano tipiche in questo particolare gioco ad una sorta di esaurimento. I giocatori oggi competono in particolari tipi di partite con modalità di velocità simili a quelle che potrebbero sopportare macchine da calcolo complesse. Una volta di più non abbiamo adeguato l'intelligenza artificiale al nostro modo di agire ma noi stessi al suo.

Se invece ci allontaniamo dagli scenari complessi ma contenuti di un gioco da tavolo ed entriamo nella realtà caotica delle cose umane, quando un'automobile guidata da un'intelligenza artificiale viene lasciata completamente sola nel mondo reale, succedono veri e propri disastri.

Dobbiamo quindi modificare anche il paesaggio e le architetture umane per far sembrare che il nostro golem sia migliore di noi?

Non voler essere altrove

Una ragazza indiana 
su una panchina 
di fianco a un'anziana 
come due piante diverse 
che sfiorandosi 
producono un fruscio tra i fiori.

Parlavano con occhi pieni di candore che cercano amorosi e pazienti la bocca.

Così raro è inaspettato questo frutto quando il corpo non sembra voler essere altrove.














Ed ecco il mio pianto
come una piccola fonte in montagna
nata per te
solo fiore
che mi hai amato come volevo.
M'inginocchio per la prima volta
e prego
tutti gli dei in cui non ho mai creduto
e chiedo
con tutta la forza che ho
che tu ti possa scordare di me
perché la tua attesa mi lacera il cuore
addio
cucciolo mio
addio.
A voi, al dondolo e ai prati

Ho salutato i nostri cani
e pianto un po'
poi loro mi han guardato
non capivano
per sempre stupidi e felici.
Io randagio
lì come ovunque
non mancherò
a voi
al dondolo
e ai prati
a chi non si è neanche accorto che ero andato.
E come una strana nostalgia di posti mai visti
sento l'abbraccio gelido
delle cose irrealizzate.
Dopo aver pensato
presuntuoso come ogni papá
di meritare anche io una famiglia.

Sono andato
ed anche se non sono più li
mi consolo
perché il sole del primo pomeriggio
è più giusto di me
e vi darà tutti i baci che meritate
a voi
al dondolo
e ai prati.


La genialità del pigro è passare per incapace. Attraverso questa strategia si assicura che nessuno lo importuni con lavori da svolgere.

Taser

Psicopattini elettrici


Prologo

Da un po' di tempo il mio telefono si spegne a caso. Oltre a questo, dopo il messaggio "la batteria si sta consumando troppo velocemente vuoi attivare il risparmio energetico?" l'ho autorizzato stupidamente. Da lì in poi lo schermo del telefono va in stand by ogni 5 secondi lasciandomi credere che sia morto. Per aggiungere un po' di pepe al tutto, il tasto laterale per riattivare lo schermo è rotto. Bisogna premere forte e più volte, per capire se sia davvero spento o solo in stand by. Diciamo che gli ingredienti per il cocktail del nervosismo sono pronti per lo shaker.


L'inizio del disastro 

Gita a Torino, io e C. parcheggiamo in Corso San Maurizio e camminiamo verso il centro, arrivati davanti a Palazzo Nuovo ho la brillante idea e dico: "prendiamo i monopattini?" Trent'anni fa avrei dato il documento e cinquemila lire a un tizio. In un tempo stimato di due minuti, avrei avuto il monopattino. Oggi grazie al superlativo avanzamento tecnologico mi perdo mezz'ora di vita tra app, funzionamento delle stesse, registrazioni e conferme varie.

Alla fine ce la faccio. Inquadro il codice QR sul trabiccolo e una voce robotica in inglese dice "welcome on board". Prendo l'attrezzo e accelero, nulla. C. mi guarda come una ranocchia sul loto, pigio, muovo di tutto, ci salgo e mi do la rincorsa, gli parlo. I passanti e gli studenti dalle case intorno cominciano ad interessarsi al vecchio che bisticcia con il nuovo. 


La tempesta perfetta

Un'euro e quaranta dopo (due minuti a occhio e croce) lo rimetto a posto di fianco a tutti gli altri, clicco sul telefono "fine corsa". La app mi chiede di fare una foto e il tassametro si stoppa. Una piccola vampa e il diavolo compare divertito sopra un lampione. Intestardito inquadro un' altro monopattino, messaggio di benvenuto a bordo e lo schermo del telefono si spegne. Immediatamente penso che sia morto. Panico, come un shampoo all'azoto liquido. Mi muovo con lo schermo spento in avanti e due degli altri monopattini dicono "welcome on board, your money is our honey!" clicco il tasto laterale ma lo schermo non si accende, a questo punto il telefono è proprio morto. Un'profluvio di bestemmie si promana da me è potente e scricchiolante, come un incendio in una chiesa messicana. C. ormai abituata ai miei eccessi, tira fuori una siringa e comincia ad aspirare del valium da una boccetta. Io intanto tiro calci e pugni scomposti per aria. Faccio cadere tutti i monopattini tipo domino, ancora bestemmie, calde come piogge primaverili su giovani amanti. 


San Vito Dancing Club

Penso a tutte le opzioni possibili, non mi viene in mente nulla. Ci sono! Corro verso la macchina. Scatto venti metri, ho male al petto. Mi fermo a metà strada di fronte a un negozio di fotocopie. A quel punto un sospetto fioretto mi trafigge in petto, se metto il telefono sotto carica poi come faccio a tornare lì per fare la foto ai monopattini? (Dato che non tiene la carica e si spegne). Lacrime di nervoso come petrolio infuocato sgorgano dai miei occhi malefici.

Intanto il diavolo sul lampione ridacchia mangiando pop corn.

In preda alla disperazione mi ricordo che nel portafoglio ho il cazzillo per aprire la chassis della SIM, C. a quel punto mi ha raggiunto, idea! Scambio di telefoni. Smonto tutto convulsamente in mezzo alla strada.

C. prova a calmarmi ma ormai sono pazzo duro, il cazzillo cade, lo ritroviamo.

La realtà mi picchia in faccia come il bullo nel cortile della scuola, se scambiamo SIM passeranno ancora venti minuti tra scarico app e iscrizioni varie, non funzionerà.

Tento il tutto per tutto, arrivo alla macchina e metto il telefono sotto carica.

iI livello di bestemmie si abbassa ad un lirismo sommesso e infiorettato, tipo lettura di poesie nel Greenwich Village.

Tre minuti seduti in macchina, C. prova a buttarmi addosso dell'acqua santa, l'ultima volta ha funzionato. Nulla, l'acqua evapora prima di toccarmi.

Poi senza dire niente, provo il tutto per tutto, mi alzo come un vecchio Flash dalla sedia a rotelle della casa di riposo per supereroi, stacco il telefono e corro.

Tutto rallenta, i pop corn cadono dalla bocca del diavolo che, vedendomi girare l'angolo, spalanca gli occhi da sopra il lampione.

La gente dai balconi sente un fremito elettrico nell'aria tipo ritorno al futuro e si gira appena prima di rientrare in casa, supero di nuovo il negozio di fotocopie, arrivo di fronte ai monopattini, apro la app, clicco termine corsa, mi chiede di fare la foto, fotografo tutto, la app di dice, sono 3 euro e 40, vuoi lasciare un commento? 

C. intanto mi ha raggiunto paziente come un buddha. Prende il mio braccio con la dignità di un'infermiera specializzata in specie aliene. Poi mi sussurra tranquilla come un carillon in una soffitta di Parigi "ti serve un telefono nuovo".

Abbiamo continuato la nostra passeggiata verso la fiera delle piante strane in piazza Vittorio.

Ho comprato una pianta carnivora.

La dittatura dell'uguale è un uroboro sociale

Si fa molto in fretta a confondere l'uguaglianza con la somiglianza, sono però due cose differenti, la prima è un'utopia, la seconda è un diversivo storico. Con il passare del tempo non stiamo più lottando per acquisire maggiori diritti, ma per assomigliarci tutti.
Si potrebbe quasi sostenere che in un sistema così capillarmente diffuso come il capitalismo (al punto che ormai ha assunto per molti versi i tratti di una religione) questa somiglianza tra le persone sia inevitabile, anzi, per usare la parola più infangata degli ultimi anni, naturale.
Ci assomigliamo mentre ci livelliamo verso una figura di neo-consumatore apolitico, ateo, asessuato, cioè un essere umano privo di qualsivoglia connotazione specifica. Si potrebbe notare, non senza malizia, che destrutturare l'individualitá aprirebbe forse le porte a tutta una nuova serie di mercati.
Ad esempio i supermercati e le farmacie del futuro potranno comprendere prodotti e cliniche low cost di chirurgia estetica per individui sessualmente indecisi.
La propaganda sotterranea che ci ha portato a tutto questo è cominciata molti anni fa. Stilisti impossibilitati ad avere corpi diversi da quelli che avrebbero voluto, hanno umiliato la femminilità rasandole i capelli a zero e rendendola anoressica, hanno femminizzato l'uomo proponendo un modello muscoloso ma con lineamenti femminili, corretti con maquillage e chirurgia estetica.
La peluria sul corpo che ha sempre caratterizzato l'individuo sessualmente adulto, è diventata a poco a poco cosa sporca e volgare.

Gli adulti assomigliano ai bambini
Gli adulti assomigliano ai bambini perché non vogliono invecchiare. L'individuo vecchio è fermo in un mondo dove la mobilità e la velocità sono fattori predominanti. Se si ferma, egli diviene uno sconfitto.
All'esame oculistico per il rinnovo della patente, gli esaminatori mettono firme di avvallo e guardano con una certa indulgenza vecchi di settant'anni mezzi ciechi, che pretendono di continuare ad esistere nel flusso metallico delle autostrade. La giovinezza è salva, il mercato delle automobili pure.
Gli adulti assomigliano ai bambini perché da giovani si passa il tempo a cercare di accumulare ricchezza e da vecchi lo si passa a cercare di recuperare la giovinezza perduta.

I bambini assomigliano agli adulti
Le età si avvicinano nell'uroboro sociale, anche questo è un tentativo ingenuo di esorcizzare la morte, di rinviarla. Bambini ipertecnologici che non hanno più spazi loro, ma ne occupano di sempre maggiori nel mondo degli adulti. Bambini che fanno cene mentre gli adulti guardano, bambini che si autodeterminano sessualmente. Diventeranno presto dei dittatori casalinghi adolescenti in un mondo senza sberle. Ragazzini senza figure di riferimento adulte, che non temono più nulla e osano di tutto.
Giovani promossi agli esami della vita senza fare nulla, senza merito o forma di competizione alcuna, se non il videogioco.
Essi hanno come unico modello imitativo l'influencer, il quale è molto spesso, un adulto che si finge ragazzino, un incursore strategico nei mondi giovanili che inocula nuove mode facendosi pagare dal miglior offerente (ma in fondo i paninari cos'erano?). 
Da notare inoltre come le più recenti modalità di visualizzazione di YouTube assomiglino sempre di più alla vecchia televisione, prima non c'era pubblicità ed ora c'è, prima la si poteva saltare ed adesso, sempre più spesso, diventa obbligatorio subirla.
Allora cosa c'è di nuovo?
Che la nuova televisione a chi la produce non costa più nulla, perché un branco di dementi affamati di vanagloria diventano presentatori, opinionisti, esperti di videogames o quant'altro, ma lo scopo alla fine è sempre lo stesso, guadagnare soldi dalla pubblicità, vi ricorda qualcosa?
L'influenzatore ti insegna che puoi diventare ricco stando a casa davanti a un monitor e i giovani gli credono.
Ultimamente il miglior amico del figlio della mia compagna alla domanda "che scuola hai scelto?" ha risposto "una scuola che t'insegna a vendere le cose su internet".
Naturalmente senza nessun operaio che produca tutto l'esistente, tutti questi startupper tra qualche anno prenderanno la realtà in faccia come un muro ai duecento all'ora.
E chiunque non abbia genitori abbastanza ricchi da fargli aprire facebook o sostenere i propri fallimenti, dovrà andare a lavorare come tutti gli altri.
I giovani crescono troppo in fretta, assimilando il peggio del valori della modernità, anche se poveri, appena ne hanno occasione diventano immediatamente voraci consumatori di beni di lusso.
La religione cristiana con i suoi precetti morali era un limite, il capitalismo è la religione della mancanza di limiti. In ogni caso si sarebbe potuto sostituire un sistema di valori sbagliato e obsoleto, ma di sicuro non con la religione che ha come unico valore il profitto personale a tutti i costi.

I dipendenti assomigliano ai capi
Tutti stratupper, tutti partite iva, tutti padroncini, tutti presi nel grande mercato del business e del management, tutti capi insomma, se non di qualcuno almeno di noi stessi.

I capi assomigliano ai dipendenti
Miliardari trentacinquenni vestiti da ragazzini che provano, senza riuscirci, a mimetizzare le proprie ricchezze, continuando ad ostentare la figura del giovane semplice, ma i numeri dei loro patrimoni spropositati sono su tutti i giornali e il giochino non funziona più.
Mark Zuckerberg eternamente giovane, guarda basito una commissione di adulti che lo accusa.
Sono gli stessi che lo hanno spinto a produrre la mostruosità di cui oggi è a capo.
Così come la scienza da almeno un trentennio non ha prodotto quasi più nulla che abbia avuto una rilevanza rimarchevole nel mondo reale, questi neo-ricchi, per la maggior parte, sono diventati facoltosi attraverso un sapere futile, generatore di miraggi elettronici e ipertecnologici che non produce niente di fisico, se non dei neo-modelli di business per lo sfruttamento di altri esseri umani (amazon, glovo, etc.).
Il paradosso sta nel fatto che questi miraggi nonostante la loro natura effimera, hanno provocato un peggioramento della società, fisico e tangibile. Man mano che i mondi virtuali diventano più colorati e dettagliati, la realtà procede di pari passo in senso contrario. Intanto, complice la novità delle pandemie, ci avviamo verso un'epoca in cui le occasioni di uscire di casa saranno sempre meno. Il consumatore odierno è immobile, e chi è fermo a subire la dittatura del pornocromatismo, non agisce più nel mondo reale, intendendo quest'ultimo come rete di relazioni tra le persone nel mondo fisico.

Gli uomini assomigliano alle donne
L'uomo perde ogni connotazione, perché uomo oggi significa violenza e volgarità. L'uomo che smette di occupare spazi tipicamente maschili, comincia ad occupare spazi femminili. L'uomo di oggi è privato di ogni connotato maschile se non quelli che servono ancora il capitale e la procreazione.
Il liquid gender è l'ultima trovata radical chic, i figli delle star di Hollywood (ad es.Will smith o Angelina jolie) si autodeterminano sessualmente in giovanissima età, quindi, per il genitore borghese e suo figlio, compiere le stesse scelte, equivarrà presto ad uno status sociale modaiolo e imitativo.

Le donne assomigliano agli uomini
Uguaglianza significa anche buttarsi nella lotta, nel peggiore dei casi la guerra, nel migliore mancanza di tempo da dedicare alla propria famiglia.
La donna comincia ad assomigliare all'uomo, ma come già detto l'uguaglianza non è somiglianza. Nel livellamento forzato il primo perde parte della propria mascolinità e la donna rinuncia a parte della propria femminilità.
Tutto ciò che una volta connotava la donna sta andando a scomparire, 
In un mondo duro e competitivo, ella per esistere e resistere deve mascolinizzarsi, de-femminizzarsi e anche quando si veste e comporta da donna, spesso rinuncia a quella gentilezza, quella dolcezza, che potrebbero essere prese come segni di debolezza.
Niente più gonne a primavera.
Al giorno d'oggi, starlette a parte, le grandi figure di riferimento femminili nel panorama mondiale, le donne di successo, le donne importanti, assomigliano sempre più spesso a degli uomini esteticamente e caratterialmente.

Le categorie che si assomigliano sono sempre di più e formano un serpente che si mangia la coda. É come se dei cuochi che prima cucinavano tanti piatti diversi, smettessero di farlo e uscissero dalla propria cucina per chiedere agli altri "tu cosa cucini oggi?" Poi nel terrore di sbagliare, ma con ancora quel briciolo d'orgoglio di voler fare qualcosa di proprio e originale, tornassero a nella loro cucina e preparassero qualcosa di simile agli altri cuochi.
Nel tempo, la cucina di quella zona comincerebbe ad essere mediocre e un po' tutta uguale.
Ed è proprio questo che sta succedendo alla nostra socialità, ma a cosa è dovuto tutto ciò?
Per produrre una buona riflessione dobbiamo partire da una premessa valida e accettarla, ma come ogni ingrediente primo, sarà quasi di sicuro un po' indigesta.

Noi non siamo tutti uguali, non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.

Perché ci connotiamo diversamente secondo, etnia, credenze religiose, estrazione sociale e infine sesso (inteso come geneticamente predeterminato).
Da qui in poi possiamo raccontarci tutte le barzellette che vogliamo, ed anche confonderci le idee, dirci che se facciamo il colpaccio diventeremo ricchi, o che se ci facciamo evirare con l'anestesia e i punti diventeremo donna, o che tutti questi anni immersi nell'acqua santa non hanno contato nulla, ma in realtà così non è.
Siamo nati tutti con un corpo che non ci piace, ci conviene fare il meglio che possiamo con quello che abbiamo, orientarci sessualmente come meglio ci aggrada e smetterla di raccontare ai nostri figli che se sono alti un metro possono essere campioni di basket, se si impegneranno molto, perché questo è il messaggio che passa nelle pubblicità e nei film ma non è la realtà. E illuderli non farà altro che fargli vivere una brutta vita.
Relativamente alla chirurgia estetica si può solo dire che confondere gli altri è una pratica proporzionale alla confusione mentale che si genererà in noi stessi.
Aggiungo che un mondo più giusto non sarebbe un posto in cui hanno tutti gli stessi diritti, ma diritti di base (sopravvivenza e dignità umana) universalmente riconosciuti per tutti e diritti maggiori che possono aumentare o diminuire rispetto ai meriti e al lavoro svolto per la comunità di cui si fa parte. 
Fuori da ogni ipocrisia si può anche dire che è logico (lo diceva già Platone) che le persone appena arrivate in un paese (a parte quelli di base) non possano avere gli stessi diritti di chi ha costruito quella società, perché altrimenti cesserebbero le rivoluzioni e comincerebbe il turismo dei diritti, mentre cioè i telegiornali parlassero di barconi, milioni di esseri umani prenderebbero treni o aerei per spostarsi in quella parte di mondo dove ottenere di più, senza esserselo guadagnato con la lotta sociale.
Vi ricorda qualcosa?

In fine diritti speciali per categorie specifiche, perché un diversamente abile o una donna incinta, per citare due categorie a caso, devono necessariamente avere qualche diritto in più per la condizione particolare nella quale si trovano, ma non essere inclusi per forza in contesti scolastici o lavorativi che li squalificherebbero e che loro, a loro volta, finirebbero per squalificare.

Lo avevo detto che era indigesto.


Un secondo prima
Capitolo 1
Una vita prima

Mentre la guardavo per l'ultima volta, pensavo che se fossi stato una stanza, sarebbe stata la mia cucina. Negli ultimi anni la mia casa si era ristretta ai suoi spazi essenziali. Certo, avevo anche altre stanze a disposizione, ma tutto quello che mi serviva era lì. Calda, pulita e disordinata, come un pezzo di musica jazz. Il resto della casa era il simulacro degli spazi che avrei potuto usare, se avessi vissuto meglio.
Niente figli e con le donne avevo chiuso da un pezzo, i cani li avevo lasciati perdere dopo aver raggiunto quell'età in cui non sai se vivrai più tu o loro. Per altro anche svegliarsi presto la mattina per portarli a spasso non era più, diciamo così, tra le mie priorità.
Dentro lo sgabuzzino avevo una capsula Sieltech che ne occupava praticamente tutto il volume. Grigio metallizzata e blu, con una certa compostezza ipertecnologica e il suo design moderno, si sforzava di comunicare un'affabile tranquillità, ma a me sembrava solo quello che era, un sarcofago. Non aprivo mai la porta di quello stanzino e per diverso tempo il fatto di avere una mostruosità del genere in casa, mi causò non poco fastidio. Fino a quando, qualche anno prima, l'auto-eutanasia divenne socialmente accettata, per poi trasformarsi addirittura in una moda. Giovani particolarmente problematici, star fallite di youtube in cerca di un'ultima scintilla di vanagloria e infine la gente comune. Quando il governo obbligò tutte le persone anziane e sole ad averne una, l'acquistai e col tempo il mio fastidio dovette cedere il passo a una sobria rassegnazione. Avrei usato la capsula quando il dottore mi avesse diagnosticato una malattia qualsiasi da cui non sarei più potuto guarire, giusto poco prima di diventare un peso per me stesso o gli altri. La procedura era semplice e pulita, i soldi per la cremazione erano già compresi nel prezzo. Quando sarebbe stato il momento mi sarei sdraiato al suo interno e la mia vita sarebbe scivolata dolcemente verso l'oblio, o almeno così diceva la pubblicità. Al momento del decesso il personale della Sieltech, che già aveva le chiavi di casa mia, sarebbe stato avvisato via e-mail per venire a prelevare il cadavere.
Stavo per dire addio alla mia casa quindi, il posto dove ogni tanto vagavano ancora felici, le anime delle donne che avevo amato. Stranamente però, tutto questo mi faceva sentire bene, forse un po' in colpa, ma in fondo ancora vivo.
A settant'anni trascorrevo la maggior parte delle mie giornate tra la cucina e il divano.
Uno stanzone unico diviso da un mezzo muretto, oltre al quale c'era il piccolo salotto che usai come tale, almeno fino a quando l'ultimo dei miei amici ebbe la forza di venire a farmi visita. I giovani non sapevano neanche più cosa volesse dire "andare a trovare qualcuno" e in ogni caso, dopo le prime piogge nere, anche io cominciai a uscire di meno e il salotto finì per diventare anche la mia camera da letto.
La cucina era il cuore caldo della mia casa, il piccolo tempio dei pochi piaceri rimasti. Il mio divano era un rifugio per i pensieri, nonché un santuario per solenni pisolini. La vita semplice dei vecchi soli è fatta di una specie di caos ordinato, libri letti a metà, una scacchiera con il quiz della settimana e un computer spento da molto tempo. Ah! e c'era anche quell'aggeggio che avevano tutti, la diavoleria che accende la luce, racconta le barzellette e ti dice cosa manca in frigo. Giaceva lì, in pezzi dietro al divano, l'avevo scaraventato contro il muro qualche anno prima.
Tenevo le medicine in cassetti dove non avrebbero dovuto essere, mischiate con vecchie fotografie che ogni tanto riguardavo. In quei momenti me ne stavo davanti allo specchio con un sorriso ebete, mentre i ricordi fluttuavano di fronte a me, nei giardini colorati del tempo. L'esercizio di richiamare alla memoria eventi come feste di compleanno, o nomi di vecchi amici, era malinconico e piacevole in egual misura. Oltre a questo, era anche un modo simpatico per testare quali parti del mio cervello fossero ancora vigili.
Avevo barattoli di conserve illegali fatte da me, una vecchia taser-gun mai usata sotto il cuscino e un mini proiettore per vedere qualche film, insomma, non me la passavo poi così male.
In ogni caso, se un giovane di quegli anni mi avesse fatto visita, avrebbe pensato di essere finito in un museo o peggio nella soffitta di una casa abbandonata.
Il mio mondo era tutto lì e quello che c'era fuori, m'interessava quanto mettere la testa in un nido d'api, tenendo presente che nessuno sapeva più che aspetto avessero quegli animali.


Capitolo 2
Un anno prima

La Terra aveva superato i quindici miliardi di abitanti ormai da tempo. Il trenta per cento delle terre emerse era sott'acqua. Il livello delle polveri sottili presenti nell'atmosfera era ormai altissimo, tanto che le città più grosse erano state evacuate. Le politiche ambientali, di green economy e infine addirittura di controllo demografico, avevano fallito. Inoltre, le nuove tecnologie edilizie sotterranee, o di bonifica dei terreni climaticamente più inospitali, non avevano dato buoni frutti.
Avevamo superato il tempo massimo per poter recuperare il pianeta. Entro l'anno si sarebbe verificato, quello che gli esperti definivano come il collasso meteorologico globale.
Alcuni super ricchi di ogni nazione avevano cominciato ad acquistare montagne, l'idea era quella di farle scavare all'interno. Avrebbero voluto far costruire delle enormi abitazioni residenziali sotterranee, blindate, isolate, con sistemi di areazione artificiali ed energeticamente indipendenti. Non ci si trasferirono mai e in ogni caso suppongo sapessero che, dato lo stato di degrado del pianeta, non sarebbe durata a lungo neanche per loro.
La forma più alta di presunzione umana fu quella di vivere per tanto tempo sull'orlo del disastro, pensando che non sarebbe mai arrivato. Finite le rivolte per il carburante, cominciarono quelle per l'acqua. Tutti i paesi entrarono in una feroce competizione per lo sfruttamento delle poche risorse energetiche rimaste, fino al punto in cui arrivammo a sfiorare un conflitto mondiale.
Queste premesse fecero sì che, dal duemiladuecento in poi, tutta l'esplorazione spaziale fu dedicata alla ricerca di un pianeta nuovo. Uno sforzo economico e tecnologico enorme, supportato da tutte le nazioni del mondo.
Dopo tanti anni, una vera sfida pacifica mise tutti i governi del mondo d'accordo. Se c'era rimasto un po' di buonsenso e talento negli esseri umani, era ora di tirarlo fuori e sfruttarlo per raggiungere questo obiettivo, trovare una nuova casa per tutti.


Capitolo 3
Un mese prima

Non ho bisogno di guardare delle foto per ricordarmene, fu un giovedì mattina. Stavo facendo colazione, il sintolatte e i corn flakes mi caddero di bocca, cominciai a frugare freneticamente il tavolo con le mani alla ricerca del telecomando. Quando alzai il volume del televisore ancora non ci potevo credere, la conduttrice stava dicendo che il nostro nuovo pianeta si chiamava Stenix 4, ed era pronto ad accoglierci. Guardai in strada, all'improvviso tutti gli schermi stavano mostrando le stesse immagini, scritte e colori, ovunque. Un telegiornale in ogni lingua andò in onda in tutto il mondo per quarantotto ore di seguito. Ce l'abbiamo fatta! l'abbiamo trovato! un mondo nuovo. Le sonde e i mini-rover avrebbero cominciato a inviare a breve i primi risultati. Dopo pochi giorni si seppe che Stenix 4 era quasi perfetto, aveva una stella che lo riscaldava, le sue giornate duravano venti ore e le sue caratteristiche sembravano del tutto simili a quelle della Terra. Animali differenti ma non troppo pericolosi, specie vegetali diverse ma in minima parte commestibili e per ulteriori conferme, molto presto un piccolo insediamento umano avrebbe cominciato a condurre studi più approfonditi.
Il sistema solare da raggiungere era molto lontano, ma un'altra grande scoperta scientifica ci diede ulteriore speranza. Una novità che avrebbe rivoluzionato i viaggi interplanetari. Il Giappone rese noto a tutti che grazie all'incredibile scoperta di uno studente, un'equipe di scienziati specializzati aveva potuto produrre e testare un nuovo tipo di sistema propulsivo. Sei mesi dopo, un team di ingegneri arrivati da tutti i paesi del mondo, annunciò il varo della prima astronave a reattori oscuri. Un gruppo di scienziati destinato a creare il primo insediamento sul nuovo pianeta, partì dopo poco.
Successivamente tutti i governi cominciarono a mettere in cantiere i cargo spaziali con la nuova tecnologia propulsiva. Al telegiornale dissero che sarebbe stato possibile raggiungere Stenix 4 in una sola settimana. L'esodo era ormai una realtà.


Capitolo 4
Una settimana prima

Tutta la popolazione mondiale avrebbe dovuto essere assistita, preparata ed equipaggiata per la partenza. La produzione ordinaria di altre merci, si fermò per cedere il passo a tutti i prodotti necessari all'esodo. La gente dovette imparare le procedure d'imbarco e di permanenza nello spazio, fu quindi ordinato a tutti di seguire dei corsi online, sui posti di lavoro, nelle scuole e in uffici creati appositamente. Negli ospedali, ampi spazi furono adibiti ad ambulatori per l'assistenza psicologica alle persone sole, o più spaventate.
A livello organizzativo, quindici miliardi di persone che lasciavano un pianeta, non era proprio uno scherzetto. La scoperta di una nuova casa diede però speranza, inoltre contribuì ad alleviare le tensioni tra le popolazioni di tutte le nazioni e le loro amministrazioni.
La campagna d'informazione visiva fu massiccia, per mesi su ogni schermo, ologramma aumentato o cartellone pubblicitario animato, tutte le immagini mostrarono con orgoglio ogni buona notizia che arrivava dal primo insediamento umano. C'era un collegamento costante con Stenix 4 in stile grande fratello. I ricercatori sorridenti mostravano il pollice alla telecamera o scherzavano tra di loro, venivano ripresi mentre facevano crescere piantine o, esplorando le foreste, spiando curiosi nuove specie animali da lontano.
In ogni città della Terra, ovunque ci fosse uno schermo qualsiasi, una piccola folla si radunava subito attorno ad esso per rimanerci incollata anche tutto il pomeriggio. Nelle scale del mio palazzo vedevo i volti sorridenti e stupiti degli inquilini. Tutti si affrettavano a togliere le maschere e le tute antinquinamento, prima di entrare in casa e riferire le buone notizie. Li sentivo discutere animatamente e sorridere attraverso i muri. Per la prima volta il tintinnare grigio e sordo della pioggia nera, veniva sovrastato dal suono delle risate della gente.
C'erano famiglie dietro quei muri, persone vive che si erano quasi dimenticate dell'idea di un'esistenza migliore, e io ero uno di loro.


Capitolo 5
Un giorno prima

Il penultimo giorno tornando dai corsi di preparazione, passai di fianco alla villa di un vicino, era un uomo molto ricco di cui sapevo poco, a parte che aveva una bella famiglia e credo lavorasse per la televisione. Lo avevo incrociato qualche volta ed era stato cordiale ma molto distaccato. Avevo lo scatolone con il kit per la partenza tra le mani e stavo rimuginando su quello che avrei dovuto lasciare a casa. Immaginavo che per chi avesse posseduto molte più cose di me, sarebbe stato tutto più difficile. Mi fermai e buttai un occhio oltre il cancello, in giardino non vidi nessuno, si erano già imbarcati, capii che ero in ritardo come al solito e aumentai il passo.
Arrivai a casa che era ormai sera e trovai il mio assistente sociale alla partenza ad attendermi, il ragazzo mi diede i miei nuovi documenti d'identità e la carta d'imbarco. Poi mi disse di sbrigarmi che non avevamo più tempo, saremmo partiti il mattino seguente. L'assistenza era impeccabile, gli uffici comunali avevano provveduto a formare questi assistenti, per aiutare le categorie più deboli e gli anziani, fare i bagagli, chiudere i conti bancari e formalità di questo genere. Nelle ultime settimane questo ragazzo mi era stato davvero d'aiuto, ed era una benedizione, dato che se avessi fatto tutto da solo, avrei di sicuro dimenticato qualcosa.
Tutto il sapere umano, i dati bancari e l'intero internet, erano stati salvati dentro degli enormi data center, i quali erano già stati imbarcati sui cargo.
Per questioni di spazio, queste astronavi vennero dotate di un sistema di guida automatico. Per la stessa ragione e a causa del poco tempo, non fu possibile costruire cuccette o alloggi, ma solo degli hangar interni. Questi enormi spazi erano però stati attrezzati come giardini, divisi per quadranti e quartieri, in questa maniera avremmo fatto il viaggio vicino a persone che già conoscevamo. Queste aree erano attrezzate ma bisognava adattarsi a stare tutti assieme, dormendo su brande o sacchi a pelo. Ci dissero che del personale di polizia avrebbe garantito la nostra sicurezza, ma il buonumore era talmente alto, che non ci sarebbero stati problemi in tal senso.
La mattina dopo, il mio assistente sociale alla partenza arrivò di buonora. Poco prima di uscire, alcuni vicini di casa che non avevo mai visto, vennero a chiedermi se avessi avuto bisogno di qualcosa, fui grato ma risposi che era tutto ok.


Capitolo 6
Un'ora prima

Era giunto il momento quindi, salutai la mia cucina e le conserve, sapendo che per un po' avrei rinunciato a qualche piacere. Quando l'assistente sociale alla partenza si offrì di portarmi la valigia, declinai gentilmente. Uscendo guardai sconsolato la maschera e la tuta antinquinamento, erano appese lì, sull'appendiabiti nel pianerottolo, come seppie di plastica morte. Le indossai più serenamente sapendo che sarebbe stata l'ultima volta, il mio assistente fece lo stesso. Mi accinsi a chiudere la porta di casa e incrociando lo sguardo del ragazzo, lo vidi accennare a un sorriso bonario, alzai le spalle, sorrisi anch'io e lasciai la porta aperta. Scesi le scale e uscii dal palazzo senza rimpianti.
Tre van da dodici posti attendevano sotto casa, il ragazzo mi diede un colpetto sulla spalla e disse — Le va bene se guido io? — . I miei vicini di casa erano già saliti, salutai tutti e mi sedetti nel posto di fianco al conducente. Ci togliemmo le maschere e partendo guardai il ragazzo da vicino per la prima volta, era giovane, sulla trentina, con le spalle robuste e gli occhi pieni di speranza. Insomma, era quel genere di persona che vorresti vicino quando t'imbarchi per la prima volta su un astronave.
Per non congestionare il traffico, tutti i quartieri erano stati scaglionati per la partenza con giorni e orari differenti ma rigidi, nell'arco di due settimane ogni città sarebbe stata evacuata.
Molti van, quasi tutti recuperati dalle compagnie di taxi, erano stati messi a disposizione della popolazione. In strada le persone si muovevano animatamente, sembravano caricare i loro bagagli con la fretta gioiosa di chi parte per le vacanze. Sull'altro lato della strada, un bambino veniva rimproverato da sua madre perché aveva provato a togliersi la maschera antinquinamento.
Improvvisamente la pioggia nera cominciò a scrosciare sui vetri, guardando lo spettacolo tetro della città che si tingeva di nero per l'ultima volta, ripensai con nostalgia al mio divano. Scacciai la tristezza e feci qualche domanda di cui già conoscevo la risposta al ragazzo, giusto per ammazzare il tempo, i vicini dietro chiacchieravano allegramente.


Capitolo 7
Un minuto prima

La vista dei cargo spaziali nei campi fuori città era impressionante. Dalla nostra distanza si vedevano solo dei plotoni di parallelepipedi grigi a perdita d'occhio, più in lontananza alcuni di questi si stavano già sollevando in aria. Quando arrivammo nei pressi del nostro cargo, notai delle piccole file di mezzi che si avvicinavano da tutti i lati, ogni cosa procedeva in maniera lenta ma ordinata e da quello che potevo vedere sullo smartphone, era così in ogni città. Abbandonammo il van e ci avvicinammo a piedi per metterci in coda dietro agli altri. Nell'attesa chiesi al mio assistente dov'erano i malati e i carcerati, mi rispose che c'erano delle aree apposite per ogni categoria, quelle dei carcerati però, erano off-limits. All'ingresso degli hangar il controllo fu una formalità, passai attraverso uno scanner con il mio biglietto in mano, una voce robotica mi augurò buon viaggio. Appena entrato vidi un mare sterminato di gente, una moltitudine di teste che generava un fragore oceanico. Il mio assistente si congedò, ma mi disse che sarebbe tornato a breve per controllare come stavo. Prima di andarsene mi diede una cartina che mostrava i punti di ristoro, le toilette e i terminali informativi, mi indicò il settore del mio quartiere, E-9. M'incamminai in mezzo alla gente, ero stordito dal vociare continuo e dalle grida stridule dei bambini. C'erano panchine, brande e sdraio ovunque, qualcuno stava già mangiando un panino o bevendo una bibita, tutti sorridevano e chiacchieravano animatamente. A quel punto, un'altra voce robotica proruppe dai megafoni, informò tutti di sedersi sul prato artificiale o sulle panchine, al che ci adagiammo per terra lentamente, come un gigantesco tappeto umano. Una ragazza si attardò correndo dietro al suo cagnolino e infine si sedette. Il vociare calò di volume fino a quando ci fu il silenzio. Un breve conto alla rovescia e poi una vibrazione, che si trasformò nel clangore lamentoso di un'enorme bestia metallica e poi in un rombo, potentissimo. Tutto tremò e sobbalzò per alcuni secondi, sentii qualche urlo e infine ci sollevammo pian piano, come su un cuscino di aria. Ci fu un lungo applauso, risate e molte lacrime, la gente si abbracciava e io pensavo alle turbolenze e ai viaggi in aeroplano. Una signora che piangeva mi abbracciò e poi mi prese le mani, le strinse forte e sorridendo come una bambina mi disse, "ce l'abbiamo fatta! Ce l'abbiamo fatta!".


Capitolo 8
Un secondo prima

Il mio assistente alla partenza mi venne incontro facendomi un cenno con la mano, era raggiante e aveva del rossetto sulla guancia. Mi chiese “tutto bene?”, risposi “si, nel trambusto degli ultimi giorni ho scordato di chiederle il suo nome, deve scusarmi”, lui sorrise gentilmente e mi disse “David”, poi ci stringemmo la mano come due bambini il primo giorno di scuola. Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato gli chiesi dov'era il bagno, lui me lo indicò pazientemente sulla cartina e poi con il dito, “è laggiù, lungo la parete dell'hangar”. Prima d'incamminarmi mi girai e gli chiesi “scusi la domanda assurda David, ma se un anziano come me dovesse morire durante il viaggio, quale sarebbe la procedura?” lui rispose “so che hanno imbarcato delle capsule Sieltech per ogni evenienza, sono la soluzione più igienica, in quanto perfettamente isolate, potrebbero contenere i corpi fino all'arrivo, ma lei non ne avrà bisogno glielo assicuro”. Poi vedendo la mia espressione vacua aggiunse “se le interessa può vederle, c'è una paratia che copre una feritoia, proprio di fianco alla porta dei bagni, ma ci vuole una chiave a codice per aprirla” al che avvicinandosi mi sussurrò “tenga usi la mia, ma mi raccomando me la riporti subito” mi fece l'occhiolino e aggiunse “l'aspetto qui”. Presi la chiave annuendo e mi avviai verso i bagni, ci vollero dieci minuti buoni per arrivarci, a metà dei quali la solita voce robotica avvisò dai megafoni che eravamo fuori dall'orbita terrestre. Ancora applausi e urla di gioia, il tappo di una bottiglia di spumante per poco non mi arrivò in testa.
Poco prima di entrare in bagno vidi la feritoia coperta, mi ci misi di fronte incuriosito e cercando di non dare troppo nell'occhio. Appoggiai la chiave sul quadrante e premetti il pulsante, quando la feritoia si alzò di scatto mi avvicinai al vetro. Vidi uno spazio immenso e scuro, un doppio fondo molto ampio che correva lungo tutta la parete dell'hangar. All'interno di questo, in altezza e larghezza, c'erano centinaia di migliaia di capsule Sieltech, erano tutte impilate in maniera ordinata e si estendevano a perdita d'occhio. Mi girai terrorizzato, proprio un secondo prima di capire, che tra tutta la gente dietro di me e quella che avevo visto fino a quel momento, non c'erano altro che poveri.

Finito di scrivere il 11/12/2019