Elena Esposito

Algoritmi. Previsione e opacità

Festivalfilosofia 2020 | macchine

Venerdì 18 settembre 2020

Sassuolo



Uno dei fini principali del sapere pratico è anticipare i problemi, avere cioè un vantaggio in termini di tempo per poterli risolvere, quando non addirittura evitare che accadano.

I sacerdoti sumeri registravano le soluzioni da adottare in situazioni particolari (allagamenti, carestie etc.) scrivendole con dei cunei su tavolette d'argilla, queste venivano poi sigillate dentro delle nicchie. Gli stessi sacerdoti apponevano sopra i sigilli esterni, delle diciture corrispondenti ai problemi specifici. Le tavolette venivano poi dissotterrate, quando la situazione problematica corrispondente si fosse ripresentata.

Questi proto hard disk sopravvivevano alla popolazione e custodivano una mole di dati sempre consultabili e continuamente aggiornabili.

Dopo diverse migliaia di anni, un nuovo tipo di conoscenza ci viene descritto nel brillante intervento della professoressa Esposito. Una sapienza regolata da intelligenze artificiali che esulano anche dal supporto fisico, cioè non lo necessitano quasi più.

Il sapere che produceva nuova conoscenza, partendo dai grandi contenitori del passato (gli archivi, le biblioteche etc.) era funzionale all'intelligenza e alla fruizione umane.

I nuovi magazzini del sapere, nella modernità, cominciano ad essere progettati per essere interpretati dalle intelligenze artificiali. Possono essere conservati in luoghi irraggiungibili, in maniera sempre piú contenuta e scritti in codici sconosciuti all'uomo comune. Molto lentamente le macchine stanno cominciando cioè a produrre dei linguaggi propri. L'uomo che li interpreta diventa un tecnico sempre più specializzato. Fino ad arrivare al punto in cui la macchina utilizza processi interni e linguaggi che nemmeno i tecnici capiscono più.

In alcuni ambiti come la diagnosi medica, considerando i grandi numeri e la velocità di calcolo dei processori più moderni, l'intelligenza artificiale potrebbe fornire previsioni sempre più affidabili, che finiranno forse per sostituire la diagnostica umana.

Ma come fa giustamente notare anche la professoressa, i risultati esatti forniti attraverso processi a noi incomprensibili, possono risultare strani, addirittura esoterici.

Le intelligenze artificiali con le loro voci amichevoli, sono per caso il nostro banco di prova? Se loro possono diventare più uguali a noi, vorrà dire che anche noi possiamo diventare un po' più come loro?

Il transumanesimo è forse la nostra ricerca (consapevole o meno) di supporti diversi e più longevi su cui trasferirci? In cui registrare le nostre individualità? Un modo cioè per sconfiggere la morte?

Il genere umano si garantisce sopravvivenza attraverso il seme. L'individuo muore perché il seme possa continuare ad esistere. Il limite individuale sta nel fatto che noi, per la natura, non siamo altro che incubatrici organiche deteriorabili. 

L'umanizzazione forzata delle intelligenze artificiali, potrebbe apparire come un tentativo, per ora goffo, di preparare un contenitore adeguato dove trasmigrare in futuro.

Immaginiamo che grazie a una nuova tecnologia fosse possibile immagazzinare tutti i dati della vita di una persona sin dalla sua nascita. In seguito, noi potremmo riproporre ai discendenti della stessa persona, un avatar con il suo modo di ragionare e di parlare. In fine che tutto questo potesse essere trasferito in rete e poi dentro un oggetto qualsiasi di uso quotidiano.

Google map ti dice la strada, se vuoi però, puoi anche farti una chiacchierata col trisnonno Roberto. Attenzione non parliamo di un database delle sue frasi registrate, ma di una I.A. dedicata che produce pensieri nuovi, risponde e pensa come ragionava il trisnonno. Questo tipo di tecnologia è ormai quasi a portata di mano, con tutte le implicazioni che potrebbe comportare.

Quella che ancora oggi noi ci ostiniamo a chiamare macchina, si sta progressivamente animando e seppur esista in maniera inorganica, esiste, perché opera nella realtà e sta cominciando a definirsi come un nuovo tipo di ente. È questa la vera novità, perché in passato qualsiasi apparato tecnologico era esterno e nettamente separato dall'essere umano. Nella modernità i confini non sembrano essere più così netti.

Nel gioco delle imitazioni sembra quasi inevitabile che le intelligenze artificiali cerchino di presentarsi come umane, almeno nelle loro interfacce. Mentre le macchine si allenano ad emularci, noi giochiamo tornei di scacchi rapidi, i due tipi d'intelligenza si stanno cioè avvicinando. In questo senso, rimane da stabilire in quanta misura noi stiamo modificando i criteri umani, perché questi assomiglino sempre di più a quelli artificiali. Il che non è cosa da poco, perché questo potrebbe cambiare i parametri che noi utilizziamo per valutare l'intelligenza in generale.

Il calcolo è funzione preminente nella società del profitto e dei consumi, quindi oggi le macchine risultano spesso più performanti di noi. Le intelligenze artificiali interpretano meglio una realtà che assomiglia sempre di più a loro e sempre di meno agli esseri umani. Il paradosso sta nel fatto che questa realtà l'abbiamo creata noi e man mano che essa diventerà meno ospitale per la vita, lo sarà sempre di più per il golem tecnologico che stiamo allevando.

Le macchine hanno ancora bisogno di pastori, ma progressivamente sempre di meno. Quindi prima o poi, per fare un esempio qualsiasi, tutte le casse dei supermercati diventeranno completamente automatiche.

Per inciso, non è un problema che lavori particolarmente pericolosi, degradanti o stressanti vadano scomparendo. Lo è piuttosto il fatto che per ora, l'unica proposta avanzata al di fuori di una vita completamente asservita al lavoro, sia un reddito da consumatore universale. Quando non dovremmo più preoccuparci di pascolare le macchine, dovremmo comunque continuare a preoccuparci di consumare tutto l'eccesso che produrranno.

Il sapere umano basato su filosofia, pensiero critico e creatività, rappresenta un ramo morente dell'intelligenza, è anche per questo che le macchine risultano più efficaci. La realtà umana si deteriora riducendosi al puro calcolo, alla sola performance di successo commerciale. È in questo clima che l'intelligenza delle macchine diventerà sempre più performante.

In fine mi permetto qualche critica di carattere generale. Forse non è l'intelligenza artificiale che scrive articoli meravigliosi per il New Yorker, sono i lettori di oggi, che essendo meno preparati, non colgono più la differenza tra un buon articolo ed uno semplicemente ricco di vocabolario e sintassi, ma comunque privo di concetti nuovi e reale pensiero critico.

Aggiungerei che magari un gran numero di professionalità vecchie e nuove, approfittano di queste scorciatoie tecnologiche per cercare di arrivare al successo, o mantenere il posto di lavoro, facendo il minimo indispensabile.

Il test di Turing mi è sempre sembrato un escamotage, un po' come quelli dei maghi, se non ti accorgi del trucco allora è magia. Se non realizzi che l'intelligenza è artificiale, allora è umana.

Molto lentamente le macchine si stanno umanizzando, elaborando processi imitativi talmente complessi da renderle ormai capaci di mimetizzarsi tra gli esseri umani. Nel frattempo, tentando di assomigliare a loro, noi ci disumanizziamo, producendo effetti sulla socialità dannosi e difficilmente arginabili.

Mi spiego meglio, forse non è la compilazione automatica di Google ad essere geniale, ma il giornalista di cui ha parlato la professoressa che dovrebbe rivedere la qualità del tempo passato col figlio. In fondo, se ci pensiamo bene, risulta veramente incredibile che un padre debba ringraziare una macchina che gli ha suggerito di dire a suo figlio una frase carina. Perché per un genitore che dicesse spesso a suo figlio di esser fiero di lui, quel suggerimento risulterebbe inutile, in quanto insincero e non spontaneo.

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